Secondo la Suprema Corte “il c.d. danno da fermo tecnico non può considerarsi sussistente in re ipsa, per il solo fatto che un veicolo sia stato inutilizzato dal proprietario per un certo lasso di tempo” ma, al contrario, “come ogni danno, anche quello da fermo tecnico deve essere provato”. Questo principio deve essere valutato in relazione a quanto aveva stabilito la Terza Sezione della Corte di Cassazione, secondo la quale “il c.d. danno da fermo tecnico (…) può essere liquidato in via equitativa, indipendentemente da una prova specifica in ordine al danno subito” (Cass. Civ., Sez. 3, n. 18883/2007). La Terza Sezione circoscrive il danno risarcibile “indipendentemente da una prova specifica” ed in via equitativa alle sole “spese di gestione del veicolo” (quali bollo, assicurazione, etc.), nonché al “naturale deprezzamento di valore” verificatesi durante il periodo di fermo tecnico, le quali – tenuto conto dei tempi ordinari di riparazione – rischiano di ridursi a poche decine di euro. Nella recente sentenza, invece, la Corte si riferisce a voci di danno più consistenti, legate all’impossibilità di utilizzazione del veicolo quali, ad esempio, l’impedimento a svolgere una determinata attività lavorativa, oppure la necessità di ricorrere a mezzi sostitutivi. Per tali tipologie, il danno non può certo considerarsi in re ipsa, né dimostrato in via presuntiva, ma deve essere provato in concreto Cassazione civile , sez. II, 9 agosto 2011 n. 17135).