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Quando la cessazione del rapporto di lavoro sia avvenuta per motivazioni di carattere obbiettivo inerenti all’organizzazione aziendale, la prova deve riguardare sia l’effettiva sussistenza del giustificato motivo oggettivo sia l’impossibilità di ricollocare il dipendente all’interno della struttura aziendale, adibendolo a mansioni anche diverse rispetto a quelle svolte in precedenza, purché di natura equivalente (“obbligo di repechage”).   Una volta che il prestatore abbia scelto di contestare il presunto demansionamento dinanzi all’autorità giudiziaria non può in epoca successiva, acconsentire allo svolgimento di mansioni inferiori, seppure a base di tale scelta vi sia come motivazione quella di evitate il licenziamento.  Il c.d. patto di demansionamento deve essere, quindi, anteriore oppure contemporaneo al licenziamento per giustificato motivo; in base a quanto previsto dall’articolo 3 della legge n. 604/1966, tale patto è da ritenersi ammissibile se finalizzato ad evitare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ossia quello causato da ragioni inerenti alla attività produttiva, alla organizzazione del lavoro e al regolare svolgimento e funzionamento di essa (Cassazione civile , sez. lavoro, 18 febbraio 2011 n. 3968).

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