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Il Consiglio di Stato, ha evidenziato la distinzione tra il concetto di “società strumentale” che ha per oggetto sociale esclusivo la produzione di beni e servizi strumentali all’attività degli enti pubblici partecipanti in funzione della loro attività e quello – diverso - di “società mista per la gestione di servizi pubblici locali”. Dall’appartenenza all’una o all’altra tipologia derivano sostanziali differenze.  Il primo comma dell’art. 13 del Decreto Legge n. 223/2006 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonchè interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale c.d. Decreto Bersani bis), convertito nella Legge n. 248/2006, prevede, al comma 1, che le società a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di servizi “strumentali” all’attività di tali enti, devono operare esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni (lavori, servizi e forniture) a favore di altri soggetti pubblici o privati né in affidamento diretto né con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti (si veda, a tal proposito, Consiglio di Stato, sentenza 7 luglio 2009, n. 4346).  La disposizione riveste carattere eccezionale ed esclude espressamente dal proprio ambito di applicazione le società a capitale interamente pubblico o misto che hanno per oggetto la gestione dei servizi pubblici locali.  Inoltre l’art. 13, al secondo comma, vieta alle società c.d. “strumentali” la possibilità di affiancare attività ulteriori rispetto a quelle funzionalmente svolte nell’interesse dell’ente pubblico partecipante ed al comma quarto sanziona con la nullità i contratti stipulati in violazione del divieto di cui al comma primo.   Il Consiglio di Stato, con la decisione in argomento, conferma l’orientamento (sentenza 7 luglio 2009, n. 4346) espresso in ordine all’applicazione delle limitazioni contenute nel Decreto Bersani bis alle sole società c.d. “strumentali”, tracciando così una netta linea distintiva tra queste ultime e le società “miste” aventi per oggetto sociale la gestione dei servizi pubblici locali.  Il Supremo Collegio sottolinea che i divieti a tutela della libertà della concorrenza di cui all’art. 13 del Decreto Bersani bis trovano una giustificazione per le società c.d. “strumentali” ma non anche per quelle società c.d. “miste” aventi ad oggetto la gestione di servizi pubblici locali.  Ancora, la decisione afferma che il divieto non si applica neppure alle società “miste” per la gestione di servizi pubblici locali aventi oggetto sociale non esclusivo e dunque le società che svolgono servizi pubblici locali, partecipate integralmente o in parte dagli enti locali per altri fini, non devono avere un “oggetto sociale esclusivo” e non sono soggette alle limitazioni imposte dall’art. 13 per sua espressa previsione.  La differente regolamentazione tra i due operatori (società “strumentali” da un lato e società “miste” dall’altro) trova la sua ratio nella presenza o meno di effetti distorsivi sul mercato e sulla concorrenza in seguito alla loro partecipazione a “gare pubbliche”.   Difatti, “le società “strumentali” costituiscono una “longa manus” delle Amministrazioni, tant’è che l’affidamento delle attività “strumentali” avviene in via diretta (ovvero secondo il c.d. “in house providing”): la situazione di in “house” legittima l’affidamento diretto, senza previa gara, del servizio di un ente pubblico a una persona giuridicamente distinta, qualora l’ente eserciti sul secondo un controllo analogo a quello dallo stesso esercitato sui propri servizi e la seconda realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti che la controllano” (Consiglio di Stato, sentenza 7 luglio 2009, n. 4346).  In relazione a tali società appare quindi chiara la ratio del divieto: la loro posizione privilegiata nei confronti dell’amministrazione appaltante, “per il fatto della presenza di soggetti pubblici nella struttura della partecipazione societaria”, provoca alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato, con violazione del principio di non discriminazione tra gli operatori.   Diversa la situazione delle società“miste” per la gestione di servizi pubblici locali: esse “sono un soggetto imprenditoriale di diritto privato, operante sul mercato in regime di concorrenza. Il Trattato di Roma (art. 86) e la direttiva CEE 92/50 art. 1, lett. C), prevedono che le Società pubbliche possano agire in regime di parità di trattamento con le imprese private e che tra i prestatori di servizi sono inclusi i soggetti pubblici che forniscono servizi; con il che è esclusa ogni limitazione alla facoltà dei soggetti pubblici fornitori di servizi di partecipare alle gare pubbliche” (Consiglio di Stato, sentenza 7 luglio 2009, n. 4346, che riprende Consiglio di Stato, sentenza 27 settembre 2004, n. 6325).  Ne deriva che, secondo l’oramai consolidato insegnamento dei giudici di Palazzo Spada la distorsione del mercato, fenomeno che l’art. 13 del Decreto Bersani bis intende evitare, non sussiste nei casi in cui le società a capitale pubblico o misto che gestiscono servizi pubblici locali (anche ad oggetto non esclusivo) operino all’interno del mercato nel rispetto delle regole generali. (Consiglio di Stato , sez. V, 11.01.2011 n° 77).  

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