Accanto ai procedimenti disciplinari instaurati davanti agli organi di Giustizia Sportiva interna, l’ordinamento sportivo ne prevede altri competenti a risolvere determinate controversie sportive. Trattasi dei c.d. Collegi Arbitrali e dei c.d. Arbitrati Sportivi. L’arbitrato sportivo è uno strumento per la risoluzione delle controversie sportive alternativo alla giurisdizione statale. Dal punto strutturale elemento costitutivo di qualsiasi procedura arbitrale comunemente intesa è la terzietà ed indipendenza funzionale, oltre che personale, dei componenti il collegio arbitrale. Non potrà, infatti, integrare un arbitrato sportivo l’ipotesi in cui l’ente chiamato a dirimere la controversia sia un organo collegato alla Federazione, in quanto il rischio che il giudizio finale sia riconducibile alla volontà della Federazione risulterebbe elevato. Altro elemento tipico della procedura è il carattere negoziale dell’accordo con cui le parti rimettono agli arbitri il potere di risolvere la controversia insorta. Nella specie tale manifestazione di volontà si ritrova nel contratto associativo il cui modello è aperto e contiene una clausola compromissoria a cui il soggetto, all’atto dell’affiliazione (società) o tesseramento (persone fisiche), vi aderisce attraverso l’accettazione dello Statuto (federale o sociale). Per mezzo di questa clausola compromissoria si rimette a specifici Collegi Arbitrali la risoluzione delle controversie sportive (usualmente ripartite in: amministrative, tecniche, disciplinari o economiche originate dall’attività sportiva) che potrebbero insorgere con altri soggetti aderenti alle Federazioni. In specie, si è sostenuto che il vincolo di giustizia trarrebbe titolo da un’apposita clausola compromissoria valida se è rispettato il disposto di cui all’art. 807 c.p.c., che prevede la forma scritta ad substantiam; la giurisprudenza più consolidata reputa, inoltre, adempiuta tale formalità anche in caso di rinvio per relationem ad un documento esterno o al contratto in cui è inserita. Più in particolare, tali orientamenti reputano sufficiente che il soggetto all’atto del tesseramento o affiliazione sottoscriva un documento in cui dichiari di aver preso visione ed accettato lo Statuto che contiene la predetta clausola. Di recente, ad avallare la teoria dell’osmosi sono intervenuti sia i giudici di merito che la giurisprudenza di legittimità. Il Tribunale di Salerno, infatti, con decisione del 31 ottobre 2006, chiamato a decidere sull’annullamento, previa sospensione, di una delibera di esclusione di un socio da un’associazione, ha statuito che il “vincolo di giustizia integrerebbe una clausola compromissoria per arbitrato irrituale, fondata come tale sul consenso delle parti le quali aderendo in piena autonomia agli statuti federali accettano la soggezione agli organi interni di giustizia”. Con tale decisione i giudici di merito si sono conformati a quanto affermato da alcune interessanti e recenti pronunce della Suprema Corte (Cass. 27 settembre 2006, n. 21006; Cass. 28 settembre 2005, n. 18919) che avevano sottolineato come “l’impegno dal quale è desumibile un divieto, salva specifica approvazione, di devolvere le relative controversie all’autorità giudiziaria statuale integra una clausola compromissoria per arbitrato irrituale, fondata, come tale, sul consenso delle parti, le quali, aderendo in piena autonomia agli statuti federali, accettano anche la soggezione agli organi interni di giustizia”. Secondo la Suprema Corte, pertanto, siffatto vincolo, cui l’affiliazione delle società e degli sportivi alle diverse Federazioni comporta volontaria adesione, ripeterebbe la propria legittimità da una fonte legislativa per effetto delle disposizioni del D.L. n. 220/2003, convertito, con modificazioni, nella legge n. 280/2003, che, all’art. 2, comma 2, prevede l’onere di adire gli organi della Giustizia Sportiva nelle materie di esclusiva competenza dell’ordinamento sportivo, che sono, a mente del comma 1 dello stesso art. 2, quelle aventi ad oggetto l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive ed agonistiche, nonché i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione delle relative sanzioni, mentre subordina, come è desumibile dalla formulazione dell’art. 3, comma 1, al previo esaurimento dei gradi della giustizia sportiva anche il ricorso a quella statuale nelle materie ad essa riservate. Alla luce di tale disciplina, secondo i giudici di legittimità, pertanto, non si esporrebbe a censure l’interpretazione della clausola di cui allo statuto della FIGC nel senso che essa sia una clausola compromissoria realizzante una forma di arbitrato irrituale. Il vincolo di giustizia, infatti, si traduce in una clausola contenuta nei diversi statuti federali con cui gli ordinamenti sportivi all’atto dell’adesione obbligano le società ed i tesserati a risolvere le controversie sportive dinanzi agli organi di Giustizia Sportiva interni e precludono loro l’impugnazione dei provvedimenti autoritativi federali innanzi alla giustizia statale, salvo il caso di lesione di interessi legittimi o diritti soggettivi (c.d. principio di rilevanza esterna) la cui salvaguardia è stata imposta dalla L. n. 280/2003. [..] Le clausole compromissorie, invece, sono strumenti presenti negli Statuti delle Federazioni sportive con cui generalmente gli associati si impegnano a devolvere ad appositi Collegi Arbitrali le controversie sorte tra società e tesserati e non devolute ad altri organi federali. [..] Se anche è comune la fonte del potere (autonomia negoziale delle parti), la differenza tra i due concetti risiede invece nella circostanza che tramite il vincolo di giustizia le parti si impegnano ad adire gli organi federali e a non devolvere le controversie alla giurisdizione statale, mentre con la clausola compromissoria l’impegno è soprattutto verso i Collegi Arbitrali, le cui decisioni, se ricorrono determinati presupposti, possono avere efficacia anche nell’ordinamento statale. Ancora, si è anche correttamente osservato come ad escludere l’equiparazione dei due istituti concorrerebbe anche l’art. 3 della L. n. 280/2003. In tal senso depone, anzitutto, l’interpretazione testuale (che parla di clausole compromissorie e non di vincolo di giustizia) ma anche teleologica della norma, in quanto sarebbe un controsenso che il legislatore abbia prima riconosciuto il diritto dei tesserati di adire il giudice statale e poi abbia nell’ambito della medesima legge riconosciuto espressamente la legittimità di un istituto che prevede il divieto di adire il medesimo giudice. Secondariamente, si osserva che tale norma di fatto fa riferimento solo all’eventualità che le controversie insorgenti dall’applicazione di un contratto di lavoro debbano essere devolute ad un Collegio Arbitrale appositamente costituito. Emerge pertanto la vera natura dell’arbitrato sportivo, ossia di un metodo alternativo alla giurisdizione statale e residuale rispetto alla composizione “naturale” delle controversie sportive rappresentata dagli organi di giustizia federali (rientrando nelle materie arbitrabili le questioni che non sono di competenza degli organi di giustizia sportiva). L’arbitrato sportivo, pertanto, rappresenterebbe l’ulteriore rimedio posto in essere dalle Federazioni per difendere la propria autonomia dalle ingerenze del giudice statale. Se, infatti, il vincolo di giustizia obbliga gli affiliati e tesserati al rispetto delle decisioni degli organi di Giustizia Sportiva, la clausola compromissoria rappresenta l’alternativa dell’associato al ricorso alla magistratura ordinaria, raffigurando la manifestazione dell’autonomia dei privati di risolvere e comporre i conflitti senza l’intervento dello Stato, il tutto ovviamente solo ed esclusivamente nelle materie compromettibili, ossia suscettibili di essere decise da arbitri. Ci troviamo di fronte, infatti, ad un arbitrato volontario, ossia che trova la propria fonte nella libera scelta delle parti e non in una imposizione esterna. [..] Sarà dunque anche alla luce dell’impianto delineato dalla L. n. 280/2003, che andrà interpretata la questione della individuazione delle materie arbitrabili o meno. In particolare, e come meglio si approfondirà in seguito, si evidenzia che agli arbitri vengono così devolute le controversie riguardanti gli affiliati ed i tesserati, non le controversie in cui è parte una Federazione e non le controversie che vedono in causa terzi estranei non affiliati o tesserati, quali ad esempio gli sponsor. Inoltre, il vincolo permane fin quando permane l’affiliazione o il tesseramento. Venuto meno il vincolo associativo (inteso come il rapporto che lega l’affiliato od il tesserato alla Federazione di appartenenza), viene meno anche l’assoggettamento di questo agli obblighi derivanti dalla sottoscrizione del negozio associativo. [..] Più in particolare, i Collegi Arbitrali, come già detto, si caratterizzano per una competenza residuale, ossia vi rientrano quelle materie che non sono di competenza degli organi di giustizia sportiva. In sintesi, si può quindi osservare che nell’ambito della predetta competenza residuale tenendo conto delle tipologie di controversie in ambito sportivo di ordine tecnico, disciplinare, amministrativo ed economico, si può sostenere che non rientrano nelle materie arbitrabili né le controversie tecniche (ossia quelle aventi ad oggetto il risultato di una gara); né quelle disciplinari (ossia quelle aventi ad oggetto un provvedimento autoritativo della Federazione), in quanto tali procedimenti presuppongono che sia parte anche la Federazione, e quindi, per quanto sopra scritto, non arbitrabili, e comunque di competenza di appositi organi di Giustizia Sportiva, salvo il caso di rilevanza della controversia per l’ordinamento statale.
Giustizia sportiva
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di Lucio Colantuoni da www.altalex.com dal volume "Diritto dello sport. Ordinamento, giustizia e previdenza" a cura di Gabriele Nicolella.