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Chi viene pesantemente emarginato e vessato sul luogo di lavoro può aver diritto a un risarcimento per le «lesioni» subite.   Un dipendente di banca era stato “emarginato” fino a essere relegato a lavorare in un «vero e proprio sgabuzzino, spoglio e sporco», con «mansioni dequalificanti» e «meramente esecutive e ripetitive». I supremi giudici definiscono il fenomeno con il termine di 'straining', ossia una forma di 'mobbing' attenuata.   Al centro del processo alcuni «comportamenti discriminatori» subiti dal lavoratore: la «sottrazione di responsabilità in favore di un'altra dipendente, ingiustificatamente favorita dai dirigenti», le «ingiuste ed aspre critiche» alla professionalità dell'uomo, la «convocazione di un incontro intersindacale finalizzato a criticare» la condotta del dipendente «proprio nel periodo in cui si era messo in ferie per riprendersi dalle dure critiche ricevute dai superiori», l'«estromissione» dal servizio di cui si era occupato, con il successivo «inserimento in mansioni dequalificanti».  Da questi episodi era «derivata la grave lesione» del lavoratore «consistita nella incapacità di attendere alle proprie ordinarie occupazioni. I diretti superiori dell'uomo, funzionario amministrativo di una filiale di una grande banca, erano dunque finiti sotto processo per maltrattamenti, ma erano stati assolti dal tribunale di Milano, sentenza confermata in appello  (Corte di cassazione - Sezione VI penale - Sentenza 3 luglio 2013 n. 28603)

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