La Cassazione, nel ribadire il suo precedente orientamento, ha ritenuto che la situazione di socio occulto di una società in accomandita semplice - la quale è caratterizzata dall'esistenza di due categorie di soci che si diversificano a seconda del livello di responsabilità (illimitata per gli accomandatari e limitata alla quota conferita per gli accomandanti, ai sensi dell'art. 2312 c.c.) - non è idonea a far presumere la qualità di accomandatario, essendo necessario, a tal fine, accertare di volta in volta la posizione in concreto assunta da detto socio, il quale, di conseguenza, assume responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali, ai sensi dell'art. 2320 c.c., solo ove contravvenga al divieto di compiere atti di amministrazione (intesi questi ultimi quali atti di gestione, aventi influenza decisiva o almeno rilevante sull1arnrninistrazione della società, non già di atti di mero ordine o esecutivi) o di trattare o concludere affari in nome della società. È indiscusso in realtà che, «per aversi ingerenza dell'accomandante nell'amministrazione della società in accomandita semplice, - vietata dall'art. 2320 c.c. - non è sufficiente il compimento, da parte dell'accomandante, di atti riguardanti il momento esecutivo dei rapporti obbligatori della società, ma è necessario che l'accomandante svolga una attività gestoria che si concreti nella direzione degli affari sociali, implicante una scelta che è propria del titolare della impresa. (Corte di Cassazione, Sez. I, 25 luglio 1996, n. 6725)